lunedì 31 agosto 2020

Un altro anno in Sardegna (accidenti!)

Delle vacanze in Sardegna, negli anni, sono certa di aver detto tutto.
Da prima ancora di sposarci andiamo nello stesso posto, stessa casa, stessa spiaggia, mare cristallino, acqua gelata, chilometri di spiaggia e pace assoluta.
Che si può dire che non abbia già raccontato?

Per esempio, e per quanto mi riguarda non è cosa da poco, che quest'anno sono arrivata in terra sarda forte dei 5 chili persi appena prima di partire. 
Sono scesa dal traghetto armata di biscotti proteici insipidi come il polistirolo e buoni propositi che avrei definito granitici. Ma che si sono schiantati sulla soglia della cucina di mia suocera che all'otto di Agosto sfornava un numero imprecisato di peperoni ripieni.
Prima fritti e poi riempiti con mezzo chilo di farcia cadauno, affogati nel condimento e passati in forno.
C'è voluto un secondo a capire che quella contro le calorie era un guerra che ero destinata a perdere miseramente. 
Salsiccia, pecorino, aperitivi vari, cene romantiche, un numero esagerato di fritture di pesce (ma il pesce è leggero lo sanno tutti), cene fuori e pizze e feste di famiglia mi hanno dato il colpo di grazia.
La resa totale è arrivata a Ferragosto, di fronte al dolce al torroncino di zia Gabriella. Una specie di piscina di panna e torrone che da solo avrebbe potuto risolvere la fame nel mondo.
Alla seconda porzione ho sentito in testa il grido di sdegno della mia dietologa e ho avuto una chiara visione dei gambi di sedano e cetrioli di cui mi toccherà nutrirmi fino a Natale.

Mio marito, che un tempo passava le giornate preoccupato solo e soltanto del mio benessere, che controllava costantemente che non mi scottassi, che passava la giornata a spostarmi premuroso la sdraio, ad assicurarsi che non mi mancasse nulla e che il mio cattivo umore non salisse mai oltre i livelli i guardia, ora si trova a dover fare le stesse cose mentre urla a Sonia di non affogare i bambini più piccoli e darsi quelle dannata crema protettiva e inveisce contro Fatma che sembra concepire la vita solo con un cellulare tra le mani (è un fatto: i cellulari dei quindicenni non si scaricano mai, devono avere batterie particolari).
Ne consegue che le vacanze, per lui, ormai siano più stressanti di un tour de force in ufficio.

L'adolescente, da parte sua, ha fatto l'adolescente.
Il che vuol dire che ha passato il tempo in simbiosi amorosa con il suo smartphone.
Fai colazione e lei è in camera ad ascoltare musica con il cellulare. Ti sgoli per far rispettare i turni per la doccia serale e lei è stravaccata sull'amaca presa da improbabili video chiamate di gruppo, ti affanni per il supermercato sforzandoti di non dimenticare nulla di quello che serve a casa e lei si imbosca nel reparto frutta e verdura a chattare convulsamente con il branco di disadattati che chiama amici. Vai a cena al ristorante e lei è al cellulare, inviti gente a casa e lei è al cellulare, prendi il gelato e lei lo fotografa con il cellulare.
La tentazione di usare il dannato telefono come bersaglio per il tiro al piattello è stata notevole, ma sono fiera di dire che ho resistito.
Anche se è stata dura. 

Sonia si è goduta la vacanza con la consueta tranquillità: conosce bambini, chiacchiera con chiunque le capiti a tiro e finchè viene nutrita a dovere nulla sembra smuoverla.
Alla spiaggia, dove prenotiamo regolarmente ogni anno, persino la proprietaria, un'algherese che definire di poche parole è peccare di entusiasmo e che deve aver imparato l'arte della ristorazione nella mia amabilissima Liguria, ha capitolato al suo fascino.
Da quando c'è lei ci sorride quasi ogni giorno e da quest'anno è riuscita persino a ricordarsi il nostro cognome.
Un grande successo.

Lato mio sono rimasta aggrappata alle mie consuete abitudini: ho passato il tempo a guardare in cagnesco la spiaggia intera, mi sono auto diagnosticata insolazioni, influenze e altre amenità.
Mi sono lamentata per il troppo sole, troppo caldo e il troppo umido, insomma per tutto ciò che mi ricordasse che no, neanche quest'anno siamo andati in vacanza non dico in Siberia, che potrebbe essere una meta un po' estrema, ma nemmeno in un posto in cui la notte si riesca a scendere sotto i 25 gradi.
Alle mie abituali idiosincrasie ho aggiunto il panico da covid, che mi ha fornito la scusa perfetta per giustificare il mio scarso amore per le relazioni sociali e la vita mondana.

Finalmente tenere a distanza la gente non è più sintomo di sociopatia, ma solo di prudenza.









martedì 25 agosto 2020

E potevamo farci mancare il tampone per il Covid19?



Non sia mai!

Era immaginabile visto il soggetto: sono talmente ansiosa che mi basta sentire la parola "Pidocchio" per cominciare a grattarmi. Mia figlia può testimoniare che non esagero, visto che la ripete a caso solo per contare quanto ci metto a toccarmi i capelli e visto che, in attesa della riapertura delle scuole, l'armadietto sotto il lavandino contiene una collezione di antiparassitari da far invidia alla farmacia comunale.
Quindi è più che normale che partita da Genova a 150 contagi al giorno e arrivata in Sardegna a 400 io abbia cominciato a sentirmi addosso tutti i sintomi, dalla difficoltà respiratorie al mal di gola lancinante.

A mia discolpa, a leggere i giornali, sembrava proprio che la movida di mezza Italia si fosse concentrata in terra sarda e ha poca importanza che la maggior parte dei focolai fosse in Costa Smeralda mentre noi viviamo dalla parte opposta. Ha poca importanza pure che tutti parlassero di discoteche e feste in spiaggia mentre io, che non ballavo manco a 25 anni, ho passato le vacanze come una pensionata ottantenne.
Il virus era in Sardegna, stessa porzione di mondo, e io ho deciso di essere ad un passo dal vivere in "Virus Letale".Praticamente mi sono misurata la febbre ad intervalli di 4 ore per tutta l'ultima settimana e già mi vedevo a fare la quarantena in un isolato reparto covid nell'entroterra sardo.

Il problema è che tornata a casa il raffreddore lo avevo veramente. 
E pure una tosse da tisica da far impressione.
Per non dire di mal di gola e occhi lacrimanti.
Praticamente uno straccio.

Dove lavoro la politica aziendale è cristallina: gli untori non sono ammessi. Se hai sintomi influenzali te ne stai a casa, o presenti prove inconfutabili di avere un banale raffreddorino stagionale. Da qui la necessità di un tampone, che ho prontamente fatto questa mattina.
Ora...come mi è stato fatto presente da fonte autorevole, se spiegassero veramente com'è fare un tampone nessuno si presenterebbe volontariamente.
Mi sento di confermarlo. Quella specie di cotton fioc per elefanti ti entra nel naso e sembra finirti direttamente nel cervello.
E quando ringrazi il cielo che abbiano finito, loro ti guardano sadicamente e ti fanno presente che va fatto in entrambe le narici.

Non la ricorderò come la migliore delle mie mattinate.

Comunque, come da ovvie previsioni, è negativo.
Sono la più sana ipocondriaca della città.